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DAKAR UNA VITTORIA ITALIANA


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Parigi e Dakar: nomi che identificano due città sulla carta. Tra loro una sottile linea tormentata tracciata con l’inchiostro: una linea che in una manciata di centimetri racchiude... continua
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Parigi e Dakar: nomi che identificano due città sulla carta. Tra loro una sottile linea tormentata tracciata con l’inchiostro: una linea che in una manciata di centimetri racchiude migliaia di chilometri di competizione.

La Parigi-Dakar é una gara dura, una gara di uomini e di mezzi meccanici esasperati, di team super organizzati, ma che lascia ancora spazio all’avventura, ai sacrifici, alle speranze ed alle illusioni di tanti che si lanciano a testa bassa verso il deserto, verso quel mare di sabbia e rocce che nasconde imperscrutabili segreti e mille insidie.

Il 1990 è un anno fantastico per i colori italiani. Tra le dune di sabbia trionfa Edi Orioli in sella alla Cagiva. Prima volta che una moto costruita in Italia conquista la maratona africana, mentre è la seconda per il pilota friulano, che bissa il successo del 1988. Al terzo posto Ciro de Petri, anche lui con una Cagiva ufficiale. Ottavo Luigino Medardo che guida la Gilera RC600 (primo della categoria Silhouette).

Nella categoria camion, vince Perlini, uno dei più importanti player mondiali nel settore del dumper fuoristrada, con Giorgio Villa e Giorgio Delfino.

Dakar. Una vittoria italiana racconta tutto questo e molto altro, attraverso splendide immagini che immortalano momenti salienti, luoghi, paesaggi, mezzi e protagonisti, e l'immancabile pubblico.

Informazioni prodotto

Rilegatura
Rilegato
Lingua del testo
Italiano
Data di stampa
10/1990
Formato
24,5 x 30 x 2 cm

Informazioni aggiuntive

Genere o Collana
Descrittivo
  1. Libreria Dakariana
    Pubblicata il:20/03/2022
    Quest’opera vibra di potenza narrativa; parole e immagini tra le più belle di sempre nella storia della Dakar. Le foto di Gigi Soldano, che altrove non mi hanno rapito, qui sono capaci di togliere il fiato, tanto fisica, pulsante, poderosa è la materia motoristica, paesaggistica e umana che ogni singolo scatto riesce a condensare. Un esercizio antropologico forse involontario, ma certamente riuscito, moderno, con pochi eguali nel tempo. Non so se il fotografo italiano abbia mai dato un titolo ai suoi scatti, ma di certo alcuni lo meritano, un nome, come si fa coi quadri, con le opere d’arte, perché la gente li possa abbreviare, citare, riportarli con più facilità alla superficie del pensiero; foto come quella dell’indigeno appollaiato sull’albero, alle spalle di Orioli e DePetri che si allontanano in primo piano, meritano spazio negli archivi nazionali del sentimento, tra le pareti della cultura popolare, della memoria collettiva. Le parole del testo arrivano dopo le foto, come sempre accade; arrivano solo quando si è placata l’ingordigia dello sguardo; lo fanno con un intimismo che si dichiara subito e apertamente nella breve introduzione di Edi Orioli. Lo fanno con una schiettezza da torcerti le budella, quando Paolo Scalera confessa il suo sdegno, la stanchezza emotiva per quelle mani aperte che supplicano senza fine la carità. Parole che esercitano una rara visione di insieme e sensibilità del particolare, una straordinaria capacità di lettura al contempo storica, geografica, sociale e sportiva. Una cattedra all’università della scrittura. Letteratura nella forma più nobile della parola. Mark Lo Presti (www.libreriadakariana.it)

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