In principio fu una scintilla. Abidjan-Nizza, metà anni Settanta: un drappello di infervorati su auto e moto arrangiate alla buona pronti a battagliare in un rally senza legge, attraversando territori dove non era ancora arrivata nemmeno l’idea della modernità, per un premio che corrispondeva ad una vaga promessa di gloria. Poi ecco l’idea, definitiva: Parigi-Dakar, partenza e arrivo, quasi le uniche due certezze in diecimila chilometri di raid alla Vai con Dio, e tutta una serie di altre cose, tra cui i regolamenti, da inventarsi direttamente sul posto, giorno per giorno, in pieno deserto africano.
Questa è certamente la parte più ingenua e genuina di tutta quanta la storia dakariana: la parte che riguarda la giovinezza, sua e di quell’epoca. L’acerba indipendenza delle nazioni africane, le inedite gare nate dal niente, a decine; l’età inquieta e sprezzante di quei giovani francesi, poco più che maggiorenni, che avrebbero gareggiato, rischiato, amato, vinto e sarebbero anche morti, da eroi o da stupidi come in ogni giovinezza che si rispetti, laggiù nel Sahara. Facile immaginarlo: questa è anche la parte più affascinante dell’intero romanzo. Poi il racconto, per obbedire al suo titolo, si insabbia a più riprese nelle macchinazioni politiche e burocratiche che inquinarono l’avventura dopo la morte di Sabine. Possiamo definire questa seconda fase come il periodo della consapevolezza, l’età adulta, per l’autore e per la corsa, col solito triste ornamento di meschinità e amarezza.
Rimprovero a Fenouil evidenti peccati di prolissità; una narrazione che nelle ultime cento pagine si fa sempre più collosa e monocorde, e che vi annoierà, a meno che non l’affrontiate con piglio da studiosi, da aspiranti mnemonic. E poi, se escludiamo lo scialbo epilogo di appena due paginette, manca una chiusura degna di tale nome; un grande inchino finale, il rumore delle porte sbattute, uno sfogo, un congedo, le parole adatte a chiudere il cerchio. Ciò non cambia il fatto che “Paris-Dakar, i Retroscena” è lettura obbligatoria, visto l’autore e la sua centralità nella vicenda. Un libro che non manca di cura nei dettagli, con una sua specifica bellezza di oggetto, cui contribuiscono tre segmenti fotografici di altissimo livello.
Alla fine di questo viaggio (circa 360 pagine), mi scopro impressionato dal potere d’attrazione di cui è stata capace una semplice gara nata quasi per caso; quanta Storia, geopolitica, affari, crimini, conflitti e innovazione abbia assorbito nel suo percorso; quanti Presidenti, dittatori, partiti politici, artisti, contestatori, guerriglieri, persone comuni, celebrità e perfino terroristi abbiano intrecciato interessi e destini personali alla Dakar; più che una gara “dove tutto è possibile”, una specie di sogno impazzito sfuggito ai confini del sonno stesso; materia oscura, materia del desiderio, senza fondo, e che tutto inghiotte, come sabbia del deserto.