Verità e romanzo, la Dakar è stata questo fin dall’inizio. Un’esperienza sospesa tra cronaca e leggenda. Luogo reale e luogo dell’anima, bivacco di storie, racconti incredibili, roba da Ernest Hemingway.
Dakariani e scrittori sono sempre stati necessari gli uni agli altri. I motards hanno attraversato i deserti andando incontro ai pericoli, alla notte, ai fantasmi. Giornalisti e romanzieri ne hanno trascritto i destini, li hanno raccontati al mondo intero. Ieri le telecamere così oggi i telefonini, niente di tutto questo è abbastanza esaustivo quando una sfida mette in gioco la carne, le ossa, la vita stessa. Ai segreti e alle paure più intime, all’euforia e allo sconforto più veri, non servono riflettori ma fuochi accesi nelle sere fredde, la fiducia nell’altro, una chimica speciale tra uomini speciali; qualcuno che rompe il silenzio, qualcun altro che ascolta con tutta l’attenzione di cui è capace.
In “80 chilometri a Dakar” la magia accade; un’intesa: Franco De Paoli racconta, evoca il suo straordinario passato alla guida di una Rover, un Faraoni quasi vinto, la polvere di ventiquattro Parigi-Dakar nei polmoni, l’incontro fatale con Thierry Sabine quando tutto era ancora soltanto un sogno, una folle idea tracciata su una mappa; tutto vero. Cristina Cardone ne fa pretesto per dare vita a personaggi immaginari, li muove in luoghi che sono rapimenti, ne fa narrativa. Un romanzo adatto ai salotti quanto alle mani sporche di olio; suggestioni sofisticate che illuminano dettagli ingegneristici, aneddoti da officina, scongiuri e trucchi e sotterfugi per affrontare il deserto, attraversare l’Africa e sopravviverle.
Nota a margine. La prossima edizione del libro ci auguriamo migliori nell’editing, nella forma, sua unica pecca, perché il contenuto lo merita, è sabbia tra le dita, Dakar pura.