Nelson Piquet era e resterà un pilota unico nella storia della F1. Non perché sia stato il migliore fra tutti - i record appartengono ad altri - piuttosto perché oggi non potrebbe esistere un altro come lui.
Il suo modo di porsi scanzonato, la spontaneità nell’esporre il proprio pensiero anche a scapito delle critiche altrui, ne hanno contrassegnato il modo di identificarsi. Che piaccia o no, Piquet non aveva timori reverenziali e non era imbavagliato dall’etichetta. Cosa che oggi, nella F1 governata dal politically correct, non sarebbe mai possibile.
L’opinione pubblica del terzo millennio metterebbe subito alla gogna un personaggio del genere. Mediaticamente sapeva vendersi molto bene e le interviste sullo schieramento di partenza con Ezio Zermiani restano tuttora delle chicche irripetibili.
Eppure, a fare da contraltare a questa innata irriverenza e apparente superficialità, c’era un pilota estremamente talentuoso: tecnico, perché conosceva la meccanica essendo partito dalla gavetta dell’officina, molto sensibile nello sviluppo degli pneumatici, ma soprattutto in grado di attraversare diverse epoche della F1 sapendosi adattare alle caratteristiche delle vetture che guidava.
In sintesi, un personaggio unico e tutto da riscoprire per rivalutarlo come merita.
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